Il visto J1: un'esperienza culturale negli Stati Uniti

Il visto J1 è un programma di scambio culturale. Chi lo ottiene ha l'opportunità di vivere un’immersione totale nella cultura americana: gli studenti apprendono la lingua, frequentano una scuola superiore locale e abitano insieme a una famiglia che, in ossequio al principio dello scambio umano che ne è il fondamento, è volontaria. Dunque le famiglie non percepiscono alcun compenso, se non una detrazione fiscale di circa 50 dollari al mese. Le famiglie ospitanti devono essere americane (almeno un membro deve avere la cittadinanza Usa) e non deve esserci alcun rapporto di parentela con lo studente.

Per capire il senso di queste regole, è necessario andare indietro nel tempo al contesto in cui il programma J1 nasce. Siamo nella seconda metà degli anni ’40, la Grande Guerra si è appena conclusa, con il suo carico di morte e atrocità, e il senatore J. William Fulbright inventa il visto J1, con l’obiettivo dichiarato di promuovere la pace e la comprensione internazionale attraverso lo scambio di idee, valori e culture.  Nel tentativo di fornire al suo paese e alle nuove generazioni uno strumento in più per scongiurare nuovi conflitti. 

Per la stessa natura del visto, lo studente non ha la possibilità di scegliere né la scuola né la famiglia ospitante. La selezione viene effettuata da uno degli sponsor ufficiali: una rete di circa 70 agenzie americane autorizzate dal Department of State (l'elenco è qui). Queste organizzazioni si occupano dell’intero processo: rilasciano il modulo DS-2019 (documento indispensabile per ottenere il visto), trovano una famiglia disposta ad accogliere lo studente e individuano una scuola pubblica del distretto che sia abilitata ad ospitare studenti internazionali. Anche le scuole partecipano al programma a titolo gratuito, senza ricevere alcuna "fee" per lo studente accolto.

Dove si trovano le famiglie ospitanti?

Le famiglie ospitanti che partecipano al programma J1 si trovano nella maggior parte dei casi in contesti rurali o in piccoli centri urbani. Un placement in paesi remoti o città poco conosciute non un caso sfortunato, ma pressoché la norma: e dipende dallo spirito originario del programma J1 che in definitiva è quello di portare un po’ di internazionalità nelle case di famiglie americane che, per motivi economici o geografici, difficilmente avrebbero accesso diretto a esperienze interculturali.

Lo scopo non è quindi offrire allo studente l’esperienza più turistica o “americana” in senso commerciale, e neanche un percorso accademico, ma piuttosto inserire il ragazzo in un contesto autentico, a stretto contatto con una comunità locale. Tuttavia, questo può comportare sfide non trascurabili: i ragazzi italiani soffrono ricorrentemente l'isolamento tipico di queste comunità, a fronte di spazi enormi è normale la totale assenza di trasporti pubblici, o che la scuola - spesso unico luogo di socialità tra coetanei - sia a molti chilometri di distanza. Alcuni studenti si trovano in zone dove l’unica possibilità di spostamento è legata alla disponibilità della host family, rendendo l’autonomia personale molto limitata. Altri faticano ad ambientarsi in ambienti culturalmente omogenei, poco abituati alla diversità e poco accoglienti. Altri faticano, anche fisiologicamente, a stare bene con il cibo molto diverso che gli viene proposto a casa e nelle mense scolastiche. 

È importante quindi avere questa consapevolezza: se capitate a mezz'ora da Hollywood o dalla bianche spiagge di Boca Raton e vi sentite baciati dalla Dea bendata sappiate che magari quegli scenari da film non li vedrete mai, per quanto detto sopra. La speranza che dovete avere è trovare una famiglia che vi includa come foste un figlio loro. Quella è la vera fortuna. Ma per non restare delusi, aspettatevi un’America rurale, autentica e semplice, lontana dalle dalle grandi metropoli. Una sfida, certo, ma anche un’opportunità unica di crescita e adattamento.

Il ruolo delle local coordinator 

Nel programma J1, le famiglie ospitanti vengono spesso selezionate attraverso il network personale della local coordinator, una figura chiave che rappresenta lo sponsor americano sul territorio. Questa persona ha il compito di trovare famiglie disponibili ad accogliere studenti internazionali e viene remunerata per ogni placement andato a buon fine. Di conseguenza, le host family , al di là del backgroud check (il controllo della fedina penale, che non è neanche una richiesta obbligatoria del Dipartimento di Stato e quindi non viene svolto da tutte), non sono sempre il frutto di una selezione neutra e oggettiva: molte fanno parte del giro relazionale della local stessa, con cui spesso hanno già collaborato in passato.

Questa dinamica può creare conflitti di interesse, soprattutto quando emergono incompatibilità tra lo studente e la famiglia ospitante. In tali situazioni, non è raro che la local coordinator tenda a difendere la famiglia — fonte del suo compenso e della sua relazione pregressa — piuttosto che agire con equilibrio nell’interesse dello studente. Alcuni studenti si trovano così in ambienti poco accoglienti o non adatti, senza ricevere il supporto necessario per un eventuale cambio di sistemazione. I racconti di alcuni genitori evidenziano casi di studenti costretti a trasferirsi più volte o rimpatriati anticipatamente, mentre altri, più fortunati o proattivi, riescono a trovare autonomamente nuove famiglie più adatte, tipicamente nell'ambito scolastico. Ed è questa la strada da percorrere: anziché lamentarsi con l'agenzia, guardarsi intorno alla ricerca di una nuova famiglia ospitante. La tentazione di pensare "li ho pagati, che facciano loro", è forte, ma non utile a migliorare la situazione. 

Il sistema, nato su intenti nobilissimi, purtroppo, presenta delle fragilità strutturali che rendono fondamentale, da parte dei genitori, un’attenta vigilanza e una comprensione chiara del funzionamento reale del programma. Informarsi in anticipo e sapere cosa aspettarsi può fare la differenza tra un anno formativo e un’esperienza da dimenticare.

 

 Sebbene non esistano dati ufficiali, l’esperienza diretta di chi lavora nel settore indica che tra il 30% e il 35% dei casi presenta criticità di vario genere. In molti di questi casi si riesce a intervenire e a risolvere la situazione con un cambio famiglia, ma non sempre è possibile.

Purtroppo, per alcuni studenti, l’unica via resta il rimpatrio anticipato, con tutte le conseguenze emotive e organizzative che questo comporta.

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