Domande frequenti
La scuola americana è davvero così facile?
Dipende.
La domanda è posta male perché parte da un pregiudizio: ovvero che il sistema scolastico Usa sia inferiore a quello italiano.
La risposta, che in molte scuola italiane si dà per scontata, in realtà non è così scontata.
Il sistema scolastico americano offre una libertà che in Italia è impensabile: è possibile scegliere tra corsi base, con verifiche semplici, oppure versioni avanzate della stessa materia, strutturate come i corsi universitari del primo anno.
Molti studenti Exchange, però, non hanno accesso ai corsi più impegnativi: a volte perché non c’è più posto, a volte perché la scuola non li offre agli studenti internazionali. A volte, semplicemente, non sono a conoscenza di questa possibilità. Il fatto che di norma gli internazionali frequentino le classi dove c'è posto, le meno competitive e le meno interessanti, ha portato negli anni a un’idea distorta: la scuola americana è facile, fanno cose da quinta elementare, colorano dentro i bordi e che di conseguenza gli studenti americani siano meno capaci dei nostri. Non è così! Gli studenti americani più ambiziosi e determinati sono proprio nelle classi avanzate, nascosti agli occhi degli Exchange che sono costretti, loro malgrado o sempre per disinformazione, a stare con i meno dotati o interessati alla formazione scolastica.
C’è un altro aspetto da considerare: gli obiettivi sono diversi. Uno studente americano deve costruirsi un curriculum eccellente per entrare all’università: corsi avanzati (AP o Honors), attività extrascolastiche, sport, volontariato, punteggi alti nei test (SAT o ACT). E tutto questo con la speranza di accedere anche a borse di studio, perché il costo dei college è spesso proibitivo.
Lo studente Exchange, invece, di solito rientra in Italia e prosegue il proprio percorso scolastico qui. Non ha le stesse pressioni né, a volte, le stesse opportunità di accedere ai corsi più avanzati. Ma questi corsi esistono e richiedono uno studio rigoroso, approfondito e costante. E non sono neanche alla portata di tutti: la barriera linguistica, soprattutto all'inizio, non perdona.
In sintesi: la scuola americana può essere facile o difficile. Sta a te — se ne hai la possibilità — scegliere il percorso più adatto a te.
Cosa fare quando arriva il placement e scopriamo qual è la nostra high school
Qualche verifica semplice e a costo zero può fare la differenza.
Appena ricevete il nome della scuola, cercatela online e controllate il suo ranking su www.niche.com oppure www.usnews.com : se è una scuola di livello A o B, siete in buone mani. Se invece è inferiore, vale la pena fare un’ulteriore verifica. Magari nei dintorni ce n’è una migliore, compatibile con la distanza da casa. Negli Usa ci sono oltre 18.000 high school — una buona alternativa può sempre esistere.
Se vostro figlio è stato inserito in una classe inferiore al 12° grado (equivalente al nostro quarto anno), potete provare a contattare il counselor della scuola e spiegare che il programma del liceo italiano è avanzato, e che lo studente è perfettamente in grado di affrontare il livello senior, anche con la barriera linguistica. Inviate pagelle e programmi scolastici per rafforzare la vostra richiesta.
Chi può convincere davvero il counselor? La host mum o host dad. Sono loro ad avere maggiore credibilità: meglio evitare di far intervenire agenzie o intermediari, che spesso vengono ignorati. Se la host mum non può o non vuole intervenire, scrivete direttamente voi: con cortesia e chiarezza, spesso si ottengono risultati.
Infine, il diploma. È davvero impossibile ottenerlo con il visto J1? No, non è impossibile — è solo difficile, e soprattutto richiede iniziativa. Informatevi sui requisiti minimi dello Stato in cui vi trovate e chiedete al counselor se è possibile pianificare un piano di studi che li soddisfi. Idealmente, cercate di includere almeno tre corsi AP: Advanced Placement, fondamentali per tentare poi l’accesso diretto a università italiane o americane. E se anche non fosse riconosciuto formalmente, resta comunque un traguardo emotivo e simbolico importantissimo.
Un diploma, una toga, una cerimonia, il lancio del tocco: momenti che restano impressi per sempre.

Com’è davvero la vita con la host family?
Diversa da tutto quello che abbiamo immaginato prima di partire.
La maggior parte degli studenti Exchange viene collocata in contesti rurali o in piccoli centri: paesini con pochissimi abitanti, nessun mezzo pubblico e una quotidianità molto diversa da quella italiana. Le scuole, spesso distanti anche mezz’ora di macchina, diventano il centro della vita sociale: ci si va al mattino presto e si torna a casa la sera tardi, dopo attività extracurricolari o allenamenti sportivi. Nei weekend, partite, gare o tornei occupano quasi tutto il tempo.
Chi non fa sport, però, può trovarsi spiazzato. In assenza di un’attività strutturata, è facile ritrovarsi a passare i pomeriggi in casa: davanti alla TV, oppure accompagnando la famiglia alle funzioni religiose o alle loro attività abituali. E anche questa è America — lo è nel 70% dei casi. Non è glamour, non è come nei film, ma è reale. E spesso, con il tempo, può rivelarsi più autentica e profonda di qualunque esperienza “da copertina”.
Poi c’è la questione cibo. Il loro stile alimentare è molto diverso dal nostro: pasti pronti, poca varietà, orari inconsueti. All’inizio sarà dura abituarsi — e probabilmente non ci si abituerà mai del tutto. Ma c’è una buona notizia: è molto più facile che loro si incuriosiscano al nostro modo di cucinare. Una pasta fatta bene, dei biscotti preparati in casa, un piatto della tradizione possono diventare ponti culturali inaspettati.
La chiave? Adattarsi, osservare, partecipare. Se la host family va a Messa, si va con loro. Se cenano alle 17:30, si cena con loro. Se passano la domenica a cucinare, a pescare o a guardare football, si fa lo stesso. Entrare in una routine familiare diversa dalla nostra è forse la parte più difficile — ma anche quella più formativa.
Non si tratta di trovare una seconda casa. Si tratta di imparare a vivere in un altro mondo.

È facile fare amicizia negli Stati Uniti?
Sì… ma richiede pazienza, iniziativa e un po’ di umiltà.
All'inizio, è normale sentirsi esclusi. Gli studenti americani hanno già il loro gruppo, le loro routine e una vita piena tra scuola, sport e attività. In più, molti Exchange arrivano a settembre, quando l’anno è già iniziato: inserirsi non è impossibile, ma ci vuole tempo.
La maggior parte della vita sociale gira attorno alla scuola. È lì che si fa amicizia: in classe, durante le pause, nelle attività extracurriculari. Ma soprattutto attraverso lo sport. Chi entra in una squadra sportiva (anche senza essere un campione) parte con un enorme vantaggio: allenamenti quotidiani, partite, viaggi in bus e “team spirit” creano legami fortissimi. In alternativa, club e attività (teatro, yearbook, volontariato) possono essere occasioni preziose.
Un dettaglio importante da sapere: può capitare che qualcuno ti sorrida, si sieda con te, ti chieda di dove sei… e il giorno dopo ti ignori completamente. Nessun dramma: succede spesso. Non lo fanno per cattiveria, ma perché tu sei un alieno, vieni dall’altra parte del mondo, mentre loro — nella maggior parte dei casi — non sono mai usciti nemmeno dal proprio Stato. La curiosità iniziale può affievolirsi in fretta. Oppure riaffiorare settimane dopo, inaspettatamente. Serve resilienza, e una certa leggerezza.
Chi non partecipa a nulla rischia di rimanere ai margini. Non ci sono piazze, bar o punti di ritrovo spontanei come in Italia, e senza mezzi pubblici è difficile muoversi. A volte il tempo libero si riduce a stare a casa, con la host family o davanti alla TV. Anche questo fa parte dell’esperienza, ma viverla così per un anno intero può diventare frustrante.
Il segreto? Buttarsi. Parlare anche quando si fa fatica, sorridere anche se non si capisce tutto, proporsi anche se si ha paura. Le prime settimane sono dure per tutti, ma poi qualcosa scatta. E quel qualcosa lo fa quasi sempre l’iniziativa personale.
